“Date voce al dolore:
il dolore che non parla
sussurra al cuore affranto
e gli dice di spezzarsi”– Shakespeare, Macbeth IV, 3
L’interruzione volontaria di gravidanza, nota anche come IVG, è consentita dalla Legge 194/78, Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza, dal periodo dall’inizio della gravidanza al 90° giorno.
La formula legislativa (art. 4) è molto ampia ed anche se si è mantenuto il riferimento ad un motivo di salute fisica o psichica della donna, sostanzialmente è la volontà della donna a prevalere. Anche la comunicazione da parte del personale sanitario cui ci si rivolge al padre del concepito, possono essere effettuate solo su autorizzazione della gestante.
Quando la donna si sottopone ad un’IVG, spesso è sola sia prima sia dopo e in certi casi riesce ad elaborare ciò che ha vissuto, altre volte, può andare incontro a stress post-aborto, sindrome post-abortiva o a psicosi post-aborto.
A volte la condizione di solitudine, paura, smarrimento impedisce alla donna di chiedere aiuto per molti fattori.
A volte la donna che ha vissuto l’esperienza dell’IVG si sente dire: “L’hai scelto, dovevi pensarci prima!” “Ne verranno altri!”, “Dimentica, non è importante, “Non era destino!”, “Hai fatto bene! Era una situazione impossibile! Non ce l’avresti mai fatta da sola” e tutto ciò viene vissuto come un’ingiunzione a non esprimere il dolore, la colpa, la vergogna quando provate.
Spesso la donna pensa di non meritare la consolazione, a volte perché pensa che sia una vergogna sia essere rimasta incinta (prima del matrimonio, per superficialità, ecc.) sia aver abortito; altre perché pensa che non sia un dolore importante;altre per non apparire fragile, pentita, ecc.
In realtà è molto importante che la donna possa trovare uno spazio di ascolto e di elaborazione della perdita, per affrontare il dolore e i sentimenti che via via emergono e che possono portarla a soffrire e far emergere disturbi psichici di cui è bene prendersi cura.